lunedì 25 giugno 2012

[I Riti dello Scrittore] La soffitta

Cos'è che avevo detto? Che avrei evitato ulteriori danni? 
Figuriamoci, lunedì sera ho avuto altre cose da fare e mi sono scordata di pubblicare il rito. 
Lo pubblico oggi (28.06.2012) e ne modifico la data, perché queste sono le uscite del lunedì.
Comunque...
Per questo post è ri[S]chi[O]esta autoironia.
Non spaventatevi e non dubitate: si parla di voi tanto quanto si parla di me, e qui si parla molto di me XD


Immagina.
Rientri a casa, la sera, e in un silenzioso passo ti dirigi in camera tua.
Ti togli le scarpe e sali le scale.
La casa è buia e solo un fascio di luce penetra dalla finestra in alto sulla parete, troppo lontana per essere oscurata o chiusa.
Ti accompagna, quella fioca luce, lungo il tuo cammino. Ti concede di scalare i gradini con il fiato sospeso e di aprire la porta della tua stanza in un cigolio leggero.
Ecco, sei entrato. Sei al riparo e puoi accendere la luce: una luce più intensa e finta.



Ci metti un attimo per capire che qualcuno è stato qui.
Un attimo in cui fai guizzare i tuoi occhi vampirizzati in ogni angolo, per ogni dove, finché…
Lo noti.
Qualcuno è realmente stato lì, perché prima i quaderni, e alcune cianfrusaglie mai sistemate, stavano sulla sinistra.
Il panico dilaga nel tuo organismo unito a una rabbia assassina: sei in un vicolo con la tua vittima e la dissangui in un mare di lamenti, lasciando di te solo la visuale sulla tua ombra. Che possente si allunga sui mattoni delle case.

Vorresti svegliare tua madre perché lo sai che è stata leilei che non può stare con le sue zampacce lontano da cose tue.
E perché proprio la sera? Perché proprio prima di andare a dormire?
Chi dorme adesso, eh? Lei.
Lei che ha la coscienza pulita, pulita come lo è la tua stanza perché ha dovuto sistemarla lei a modo suo, per quanto tu le abbia detto ‘ci penso io’ un centinaio di volte, per quanto tu le abbia detto ‘domani pulirò tutto’.

Ora.
Non puoi realmente arrabbiarti perché tua madre ti ha sistemato la camera, ti arrabbi perché tua madre ti ha probabilmente disperso la creazione del secolo.
Ebbene sì.
Le cianfrusaglie che avresti potuto sistemare un centinaio di milioni di volte, ora non sai dove possono essere finite.
Cianfrusaglie che avevi sistemato in una pila precisa e che ora, per quel che ne sai, potrebbero trovarsi nell’inceneritore.
Rivolti tutto, anche i calzini! Perché in fondo non si sa mai.
E ogni occhiata lanciata al cestino è lancinante, perché notare la sua vuotità ti fa star male e arrabbiare tutto insieme.
Perché quel testo che avevi scritto in un piccolo foglietto di carta, con una scrittura rachitica e la punteggiatura stitica, era – e qui piangi, era! – l’inizio nato dall’ispirazione.
E poi… con le mani tra i capelli, gli occhi stanchi, la camera in disordine, la notte che avanza e il rumore prodotto (sai ora non te ne frega niente) ti lasci trasportare all’ultima spiaggia.
La previdenza.
Perché tu una cosa così importante non l’avresti mai lasciata in balia dello swiffer, mai!
E allora apri il cassetto: srotoli, sposti e apri tutto ciò che contiene e lo trovi.
Un pezzettino, piccolo e consumato, di carta.
Carta così bella, carta che profuma di vittoria, carta che profuma di pace interiore, di idee e di salvezza.
Accendi il computer continuando a farti i complimenti, tu l’avevi nascosto! Lo hai salvato.
E dopo mesi, accendendo word, lo metti realmente in salvo.
Così apri la pagina, è bianca ma non ne hai paura, e con le dita puntate sulla tastiera e lo sguardo su quelle poche righe (ma fondamentali, eh!) te lo detti.



Ci metti un attimo per capire che ti eri fatta un viaggione.
Ma che razza di parole hai usato?
Ma che razza di balzanità è mai questa?
Nella tua testa lo ricordavi molto più bello!
E allora lo pensi, piano in un angolo: mamma, perché non l’hai buttato via?


Molto bene.
In quanti hanno provato una cosa simile?
In quanti hanno rilegato nella soffitta i propri testi, ripescandoli dopo mesi o anni?
Non alzate le mani, piuttosto lasciate un commentino e ditemi se non vi sareste presi a sberle e baci nel tempo stesso.

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