giovedì 14 giugno 2012

[Stralci da una cruna d'ago] Al parco


Il primo giorno di dimenticanza lo studio mi ha catturata con tanto amore.
Il secondo giorno avevo il pomeriggio occupato e mi sono dimenticata di aggiornare il mio seguitissimo blog!
Quindi, giusto perché ormai è anarchia *mi dimentico del mio hobby! Non è normale*, sovverto completamente l'ordine delle cose e oggi propongo uno dei racconti dalla raccolta "Stralci da una cruna d'ago" invece che da "Frammenti da un Luna-Park": una riforma, eh?


Al parco.

Fosca si siede sulla panchina, è autunno e le piace avere tanti colori attorno, ma le piace ancor di più quella malinconia stagionale che accompagna i suoi pensieri.
In cuor suo spera vivamente che nessuno le si sieda vicino, ma i suoi pensieri devono essere troppo silenziosi perché un uomo sulla cinquantina si siede proprio accanto a lei.
Mai una panchina le era sembrata tanto stretta, quasi soffoca sentendosi accerchiata dalla presenza densa di quel qualcuno. L’aria gira attorno a lei con la solita brezza, qualche foglia si fa spazio sulla strada accarezzandola e i passanti non faranno mai caso alla sua angoscia.

Intanto si guarda attorno in cerca di una panchina sola, ma niente e lui, Daniele, sta seduto e ogni tanto le lancia un’occhiata.


La panchina è in pietra, senza schienale.
Allora, come al solito, si accovaccia a gambe incrociate: i gomiti sulle ginocchia pronti a fare da base per aiutare le mani a sorreggere la testa o semplicemente lasciar andare nel nido delle gambe i polsi sottili.
Daniele è tranquillo, invece, di non poterle dare disturbo. Convinto che tutto sia come sempre è stato.
Fosca si gratta la punta del naso, guarda una foglia alzarsi lenta nel vento e pensa.
Pensa e ripensa ad ogni singolo problema accumulato nel corso del mese.
C’è qualcosa di sbagliato in quel periodo, qualcosa di così grande da gonfiarle i polmoni come un sacchetto pronto ad essere schiacciato per fare un botto. Un grande, grandissimo, botto.
Vorrebbe in effetti fare quel botto, perché sente che l’aria respirata le arriva solo a metà polmone.
Ora se li immagina azzurri e cristallini in cima, mentre il sotto è tutto grigio e rosso sangue: marciume.
Inspira per far entrare tanta tanta aria e sente il petto farsi spazio nella maglia; il ventre si ritrae formando una voragine: l’ombelico è il punto luminoso di una costellazione lontana.
Daniele la guarda, si gratta il mento e starnutisce.
Ridacchia, ruota il busto e ironico alza le sopraciglia:

- Ha un fazzoletto? - non si aspetta una risposta.

Un frugare in tasca e poi Fosca si gira. - No, mi spiace.

Daniele rimane così, fermo. Le sopraciglia si sono corrugate, toccate sopra il naso. Un cumulo di rughe si sono arricciate sulla fronte, mentre il suo pallore quasi arrossisce dall’emozione.
Due bambini si lanciano una palla e lui la sente rimbalzare lontano, lo trapassa e non la sente.

Fosca lascia andare giù le gambe, tenerle incrociate a lungo le fa venire male alle ginocchia.
Gioca con la cerniera, indecisa se abbassarla per non sentirsi costretta in una gabbia o se alzarla per il freddo.
Continua così a fare su e giù, mentre Daniele si gratta il capo piacevolmente stupito.

Si vede correre in lontananza una ragazza da lontano, Fosca sente i suoi passi e la osserva cercando di capire se correre potrebbe essere una soluzione.
Correre, perdere il fiato. Forse.
La segue con gli occhi, ha una scarpa slacciata e lo sa anche lei.
Infatti ferma il suo passo ritmato, cammina fino alla panchina e si siede; Daniele è aria, non si sente schiacciato.
Fosca sospira: non si era nemmeno accorta di essere rimasta sola.

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