È sabato sera, gli zii sono venuti a cena e riesco a stare sveglia solo perché tengo la luce accesa. Mi fanno questo effetto le cene di famiglia, mi spolpano: forse perché mia madre ha il solito vizio viziante di imbottirci con i suoi manicaretti.
Non lo so, ma sta di fatto che io non andrò a letto leggera.
E a proposito vi propongo un raccontino dal titolo un po' cannibale come digestivo.
Mangiami il cuore
Erica era pallida e troppo magra,
il tutto sottolineato da quei capelli neri che cadevano come grappoli d’uva.
A sentire tutti era impazzita
senza un vero motivo, la sua era sempre stata una famiglia piuttosto normale…
Ma in tutto questo ragionamento
non era minimamente stata valutata Miss Isabelle, una piccola bambina dai
capelli biondi che vestiva alla Cappuccetto Rosso.
Era nata in un pomeriggio
qualunque, mentre Erica attendeva con ansia l’arrivo di qualche amica.
Per non annoiarsi, ed essere
sicura che quando le sue ospiti sarebbero arrivate lei sarebbe stata in grado
di giocare alla perfezione, creò Isabelle.
Un immaginario come tanti, in
fondo Erica aveva solo sei anni: come avrebbe potuto nuocerle?
Isabelle poi sembrava divertirsi
veramente un mondo a tenere il CiccioBello tra le braccia mentre Erica doveva
assolutamente correre in bagno, le piaceva anche prendere il tè dalla Signora
Foca (che a sentire gli altri pupazzi era una pettegola esagerata) o andare a
giocare alla gelataia: Erica faceva un gelato verde davvero buonissimo.
Le cose tra di loro sembravano
quindi andare davvero a gonfie vele, specialmente quando venne annunciato che
era arrivato il momento del nascondino: Erica aveva preso le Barbie, di cui
Isabelle avrebbe dovuto fare la voce perché Erica era già impegnata a fare
quella di tanti altri giocatori, qualche peluche e li aveva sparsi nei
nascondigli migliori e poi ordinò a Isabelle di fare altrettanto.
L’immaginaria si guardò attorno:
sotto il letto nessuno voleva farle spazio, dietro la casa delle bambole era
impossibile…restava solo l’armadio.
Un bellissimo armadio bianco.
Ci si nascose dentro, si sedette
comodamente chiudendo la porta e immaginò di essere alla guida della macchina
su cui avevano fatto finta di salire prima per andare a mangiare il gelato.
Si mise una mano sulla bocca per
coprire le risate, era assolutamente certa che avrebbe vinto, mentre Erica era
finalmente arrivata a dieci.
Orsacchiotto e Margherita erano
già stati trovati e per un attimo Isabelle temette di aver perso anche lei, ma
una serie di voci nuove si fecero largo nella stanza accompagnate da tanti
passi veloci.
Ridevano e scherzavano e Isabelle
si spostò piano piano per sentire meglio: iniziò a ridacchiare anche lei
sperando che Erica si accorgesse quanto avrebbe voluto divertirsi anche lei, ma
lei era troppo occupata per rendersene conto.
Isabelle tirò un calcio
potentissimo per uscire dall’armadio, ma il suo piede attraversò bellamente la
porta sbalordendola.
Lo rimise dentro e iniziò a
piangere copiosamente.
Tra le lacrime si guardò le gambe
e le mani tutte puntate da spuntoni di luce intensa, in cuor suo lo sapeva:
stava scomparendo.
Iniziò a scalpitare furiosamente
fregandosene del casino che stava provocando, ma dall’altra parte continuavano
a ridere e scherzare. Urlò graffiandosi le corde vocali e improvvisamente smise
di bruciare: era tornato buio dentro all’armadio.
Riprese fiato pettinandosi
delicatamente i capelli e poi uscì, notando che anche nella cameretta si era
fatto buio: era notte e la bambina dai capelli corvini dormiva beata. Troppo
per i suoi gusti.
La guardò sprezzante avventandosi
sui giocattoli: staccò la testa a tutte le Barbie coi capelli scuri e squarciò
il sederone della Signora Foca per passare agli occhi di tutti gli
orsacchiotti.
Erica era diventata una ragazza
introversa e incapace di socializzare, ormai i genitori aveva lasciato perdere
e qualunque cosa facesse la loro unica figlia ormai era talmente tanto fuori
controllo da non toccarli più minimamente.
Pazza, era talmente tanto fuori
di testa da negare il misfatto nonostante le innumerevoli prove.
Per evitare che nuocesse alla
salute di altri bambini, all’età di undici anni venne prelevata da scuola e
obbligata allo studio in casa con un tipo che nemmeno le piaceva.
Isabelle se ne stava ormai da
anni in quella casa pronta a torturare la fragilità di quella bambina ogni
volta che ne fosse valsa la pena: ciò indicava ogni qual volta Erica potesse
accorgersi che era stata lei a rompere, dilaniare, frammentare qualcosa…
- Ma non sono stata io! È stata
lei! - diceva tristemente indicandola, Isabelle poi le sputava tra i piedi
perché nemmeno si ricordava il suo nome.
- Lei chi tesoro? - chiedeva
esausta la madre dopo una lunga giornata di lavoro con quell’aria terribilmente
abbattuta.
Anche quando Erica si richiudeva
in camera per tutto il giorno per evitare di vedere Isabelle anche solo per
qualche istante, quest’ultima spuntava maligna attraversando le pareti come un
fantasma.
Le scorrazzava attorno intonando
strane filastrocche acutissime, strappando qualche libro, minacciandola con un
paio di forbici e lanciando per aria tutto ciò che avrebbe potuto rompersi
cadendo.
- Hai i capelli troppo lunghi. -
disse Isabelle guardandola muovendo le forbicine
- Lasciami in pace!
Isabelle strappò le coperte dal
letto sotto cui si era nascosta Erica, le afferrò un braccio che aveva
accerchiato la testa. Nella foga di volerle tagliare i capelli non si accorse
che qualche volta colpiva per sbaglio i polsi o le guance.
- Basta, lasciami stare! -
singhiozzava.
- Come mi chiamo? Dimmelo! - ed
Erica si zittiva spaventata, mentre vedeva i chicchi cadere l’uno dopo l’altro
bagnati da qualche goccia rossa di troppo.
I tagli le bruciavano
intensamente, ma sentiva che ancora non era abbastanza: dentro aveva un
groviglio di dolore che avrebbe tanto voluto slegare, ma Isabelle era sempre
lì.
Le cantava giorno e notte quelle
stressanti nenie macabre e ridacchiava nel vederla tagliarsi:
- Sei ridicola. - le diceva
meschina, ma Erica preferiva essere lei stessa la fonte del suo dolore.
- Ti immagini che faccia farebbero
i tuoi se lo sapessero?
- Non ti sentono e ti vedo solo
io… Quindi non puoi farci niente.
- Hai ragione, ma per rimediare a
questa sconfitta inflittami posso torturati ancora un po'.
- Stammi lontano! - Erica puntò
febbrile la lametta contro Isabelle che scoppiò a ridere, si lasciò cadere a
terra come affetta da convulsioni di piacere.
- Ridicola, sei ridicola! -
canticchiò.
Erica si lasciò sfuggire un
singhiozzo e tornò a tagliarsi l’interno coscia.
Bruciava terribilmente.
- Hai dimenticato un punto,
aspetta che ti do una mano.
Isabelle saltò sul letto
afferrando la mano sinistra di Erica che stava trattenendo l’arma e con tutte
le sue forze arrivò ad inciderle il polpaccio.
- Smettila mi fai male!
- Sei ridicola… - le tirò uno
schiaffo potente sui tagli rossi sentendola urlare copiosamente.
- Basta… - disse, soffocando il
pianto nel cuscino, il lenzuolo inzuppato.
- Basta lo dico io, dimmi come mi
chiamo o ti strappo via l’orecchio.
- Lasciami stare… - singhiozzò
lanciando il cuscino contro Isabelle.
- Dimmi come mi chiamo, stupida! -
il piccolo piede dell’immaginaria colpì il mento di Erica.
- Non lo so!
- L’hai voluto tu. - Isabelle era
pronta ad avventarsi su di lei come forse non aveva mai fatto.
Si dice che esista una Fortezza,
a capo di questa maestosità c’è Lui, un individuo piuttosto strano ed elegante
sempre pronto ad accogliere i nuovi arrivati e i ben tornati: ad accomunarli
c’è sempre quella sensazione di scarsa felicità di ritrovarsi tra quelle spesse
mura bianche.
Isabelle ed Erica erano arrivate
insieme ed avevano rotolato per il corridoio fino ai piedi di Lui, il quale non
sembrò troppo scioccato di vederle ridotte in quello stato: l’una esausta e
l’altra troppo attiva.
Lasciò che si rialzassero da sole
per poi stringere loro la mano:
- Benvenute, abbiamo già fatto
preparare le vostre stanze. Ecco. - disse, passando a ciascuna una chiave dorata
- Miss Isabelle, prosegua verso
destra per favore. - Lui ed Erica rimasero a guardare la bambina intimorita per
la prima volta, la videro sparire dentro un lungo corridoio bianco senza
sentire nemmeno l’eco dei suoi passi
- Da un lato vederla andare via
dovrebbe farla stare meglio, dall’altro dovrebbe preoccuparla…
- Non capisco...
Lui si incamminò invitandola a
seguirlo.
I due presero il corridoio di
sinistra, anch’esso bianco e fastidiosamente silenzioso.
Al termine, un’entrata di piume
colorate, si muoveva leggermente; scostandosi poi con il soffio di Lui mostrò
tristemente il proseguire corridoio, pieno di tante altre porte.
L’uomo iniziò a contare
fermandosi davanti ad un’entrata che non aveva nulla di diverso dalle altre:
- Siete arrivata, e mi scusi se non le auguro una buona permanenza, ma sarebbe
crudele da parte mia.
Erica infilò la chiave facendola
scricchiolare nella serratura, la porta si aprì e i suoi occhi videro solo un
piccolo letto blu.
Si avvicinò incerta.
- Si sdrai per favore, pancia
sotto. - Erica obbedì, ritrovandosi con il volto incastrato in un incavo.
Lui le prese le braccia, le stese
portando i palmi delle mani verso l’alto.
Prese le caviglie separandole.
Prese ago e filo e iniziò a
cucire sottili trattini neri sui polsi e sulle cosce e sulla schiena.
- Mi spiace signorina. - disse
semplicemente uscendo.
Se solo potessi sentirlo, se
solo potessi vedere il sangue che si rattrappisce sulla mia pelle e le sue
gocce sgusciare via come girini.
Tagliami, tagliami lungo i
trattini, liberami dal male pungente.
Acido.
Le parole di Isabelle
risuonano in questa stanza dilaniandomi il cuore che non può sfogarsi,
intrappolato nel mio corpo.
Mangiami il cuore, avanti, ti
supplico.
Mangiami il cuore.
Quei trattini, come fosse un
sacchetto della Mulino Bianco, che ti dicono “taglia qui”: se mai qualcuno
avesse avuto il coraggio di farlo avrebbe potuto vedere tutti i pesi
dell’essere umano.
Era impazzito, una fedina
penale la sua che non rientrava certo tra le più pulite, e ora aveva raggiunto
lo strato ravvicinato di pelle: il confine, la membrana che conteneva tutto.
Tagliatemi, qui lungo i
trattini, e lasciate che mi liberi da questo peso: c’è tanta roba qua dentro.
Ossa, sangue, organi e tessuti
e poi pensieri, idee, cultura.
Vorrei vederla uscire e
scappare via.
Mangiami il cuore coraggio, il
peso più grande che potrebbe volarsene via squarciando la pelle, lasciandomi
sanguinare tristemente.
Zac Zac, tagliami lungo i
trattini, tesoro.
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