venerdì 1 novembre 2013

[I Riti dello Scrittore] Un commento ai miti letterari

Mi sono arrivati i libri per il Gran Premio delle Lettrici di Elle - evviva!!! [angolo dell'esulto] - ho già letto il primo e procedo con il secondo. Ma dopo aver letto il romanzo di Sara Rattaro, inframmezzato da citazioni di commedie e miti d'amore famosi - Otello e Desdemona ne sono un esempio - ho iniziato a far girare il mio criceto letterario sulla sua bella ruota composta da libri e autori coi quali ho passato piacevoli, se non belle, o scarse, se non pessime, ore.
Così a un certo punto il criceto ha calpestato il nervo dei miti letterari e dal momento che sto dando lezioni di filosofia, chimica e fisica riguardanti l'atomo mi sono venuti alla mente questi due soggetti:





Tranquilli, non ho intenzione di farvi trovare uguaglianze e differenze tra questi due romanzi, anche perché ci ho già pensato io. A voi spetta più che altro il compito di dirmi se concordate, non concordate o se devo direttamente fare ricoverare il mio criceto.

Intanto, partiamo dal fatto che questi due autori non appartengono alla stessa epoca (forse potevo darlo per scontato, ma oltre a rispettare i fini di questo commento utilizzo la carta del "non si sa mai") - a vostro giudizio chi ritenere migliore dell'altro, non è a questo a cui miro -, infatti Mary Shelley nasce a Londra nel 1797 e muore nel 1851. A questo punto mi concedo un parallelismo: è coetanea di Leopardi (1798 - 1837) e per quanto la sua vita sia durata qualche anno di più, non posso dichiararla più fortunata di quella di lui.
Insomma, Mary Shelley nasce in periodo post-rivoluzionario dal punto di vista politico (1789, Rivoluzione francese), ma decisamente rivoluzionario dal punto di vista letterario, ma soprattutto scientifico, e pubblica il "Frankenstein, or the modern Prometheus" nel 1818 (prima edizione).
Queste premesse per alcuni possono essere inutili, noiose e quindi di troppo, ma vi assicuro che oltre alla loro indiscutibile importanza a livello culturale lo sono anche per il ragionamento che sto per proporvi.
Dan Brown, invece, nasce nel New Hampshire (USA) nel 1964 e per chi se lo sta chiedendo, sì, è ancora in vita. Il suo libro "Il codice Da Vinci" non è il romanzo d'esordio, come lo è stato "Frankenstein" per M. Shelley, ma si tratta del suo quarto romanzo che dandogli la fama con cui lo si è conosciuto in tutto il mondo, gli ha permesso di ripubblicare i primi tre romanzi ottenendo maggior successo.

Di Mary Shelley, il cui nome da nubile era Mary Wollstonecraft Godwin, possiamo dire che fosse figlia d'arte, infatti i genitori, William Godwin e Mary Wollstonecraft, erano personaggi di spicco nell'ambiente intellettuale.
Dan Brown, dal canto suo, è uno studioso d'arte, con padre matematico e madre musicista molto legata all'ambiente cristiano-cattolico.

Ora, cosa mi ha dato il via?

Innanzitutto le diverse epoche d'azione dei due autori, il loro rispettivo successo e poi il rapporto scienza/religione.
Partiamo da questo: non ho apprezzato per davvero nessuno dei due romanzi, pur ammettendo che si tratta di una lettura fluida e piacevole. Se dovessi scegliere tra i due punterei il dito verso... Non ve lo dico. O almeno non così e non ora.

Procedendo con ordine, cosa mi è piaciuto e cosa non mi è piaciuto dei due romanzi in questione.

Il "Frankenstein" parla di uno studioso, il dottor Frankenstein, per l'appunto, che si ritrova a studiare la filosofia naturale a discapito del nuovo modello nominato scientifico. Capitando poi all'università si ritrova a dover affrontare la realtà e tutto quello che ne consegue. 
È un po' la storia dell'uomo del periodo: tutto quello che aveva creduto possibile viene rivalutato. Ci troviamo in un processo, in mezzo a un cambiamento, qualcosa che non è sempre facile accettare. Stava nascendo la scienza, ma il dottor Frankenstein, con il quale possiamo identificare l'uomo medio, è ancora perso nel periodo in cui è nato: guardate voi e i vostri genitori, o "peggio", i vostri nonni. Si parla di generazioni: i nuovi nati saranno facilitati rispetto a chi ha subito la trasformazione.
Quindi, Mary Shelley dà voce ai dubbi dell'epoca e la prefazione alla sua prima edizione (scritta da P. B. Shelley) recita: "L'evento su cui si basa questa storia è stato ritenuto, dal dottor Darwin (nonno di Charles) e da alcuni fisiologi tedeschi, non impossibile". 
Ed è proprio questo che ritengo l'abbia reso un romanzo eccezionale agli occhi della gente di quel periodo: parlava del corso della storia, di un evento straordinario, dei dubbi morali che stava sollevando la scienza e di quelli che non sembravano più risolvibili tramite la religione, "sminuita" dagli eventi rivoluzionari avvenuti negli anni precedenti e ancora in corso.
Mary Shelley non ha avuto un successo personale, il romanzo non è nulla di speciale alla lettura, io personalmente ritengo che avrebbe dovuto sfruttare meglio l'idea che le era apparsa in sogno. Aveva tutte le carte in regola: il momento giusto, una storia nuova, era l'esordio... Eppure dal romanzo si capisce quanto fosse stato scritto per un gioco (è nato per una sfida tra colleghi scrittori), senza cura per i dettagli. In sottofondo ci leggo un "provoco scalpore comunque".
In alcuni punto l'ho ritenuto perfino noioso, e l'angoscia da romanzo gotico (alcuni ritengono sia stato il romanzo che diede inizio a questa tipologia di scrittura) l'ho provata in un'unica scena. Non vi svelo quale, che magari non tutti lo hanno letto.

Dan Brown, come Mary Shelley, ha sfruttato l'onda del momento. Il libro ha una scrittura semplice, alcuni personaggi rimangono piatti sulla pagina, tra cui lo stesso protagonista.
La storia tratta di un altro tipo di studioso che viene incolpato della morte del curatore del Louvre e quindi coinvolto in una serie di ricerche riguardante il mistero del Santo Graal e di una setta segreta. 
Un libro che ha destato parecchio scalpore, perché rivalutava figure bibliche nonché la religione stessa mostrandone lati che a quanto pare ci sono stati tenuti appositamente nascosti.
Questo mi ha fatto pensare: mentre nell'ottocento la gente cercava di stare al passo con la scienza, rivalutava tutti i processi precedenti, pur senza escluderli, intraprendendone di nuovi, al giorno d'oggi propendiamo a sminuire le regole che ci vengono imposte da un credo religioso (in questo caso quello cattolico-cristiano), dal momento che le riteniamo troppo rigide.
L'uomo del ventunesimo secolo, pur peccando ugualmente, vuole eliminare il senso di colpa: vuole poter far sesso prima del matrimonio, non vuole essere obbligatoriamente monogamo e quindi vuole che la Chiesa venga smascherata. Una lettura nascosta è "la Chiesa si maschera dietro a regole che impone a noi per non mostrarci che combina esattamente l'opposto".
Se in "Frankestein" la scienza metteva a dura prova i dubbi morali di una moralità cristiana, ora ne "Il Codice Da Vinci" necessitiamo di fare forza su regole che ci vengono imposte dalla Natura, decisamente più sopportabili di un qualunque obbligo interno alla società.

Tornando al problema dei miti letterari, ritengo che questi due romanzi rappresentino alla perfezione l'uomo del periodo in cui sono stati scritti e pubblicati. Ritengo, inoltre, che è a questo che devono la loro fama e non alle singole capacità dell'autrice o dell'autore. Mary Shelley ha scritto altre opere, ma nessuna attualmente è conosciuta tanto quanto il suo romanzo d'esordio, cosa che penso accadrà anche a Dan Brown, anche se non escludo che, nel suo caso, possa addirittura passare allo sconosciuto. Trattandosi, comunque, di un autore ancora in vita, mi è concesso fare una valutazione dei libri pubblicati essendoci passata in mezzo come spettatrice: quando uscì "Il Codice Da Vinci" per mesi non si parlò d'altro e alla ripubblicazione di "Angeli e demoni" il mondo era ancora in visibilio. Sottolineo ripubblicazione, perché questo è uno di quei tre volumi che hanno avuto un discreto successo, ma che si è tentato di riportare alla ribalta. 
Ecco, il libro è stato comprato dai più come nuova uscita, peccato che fosse esattamente lo stesso libro che tre anni prima aveva "fallito". La casa editrice ne stampò una quantità direi pari a quella de "Il Codice Da Vinci" e andò bene, ma già con il terzo volume quella quantità di libri divenne troppa. L'ultimo libro di Dan Brown, "Inferno", è stato stampato in questi ultimi due mesi con tre o quattro copertine diverse, ma non gode più dello stesso successo dei precedenti e si può anche notare dalla maggiore attenzione fatta nel ricercare errori - storici, letterari e di descrizione architettonica - all'interno del libro. Cose che vorrei fossero messe maggiormente in luce, dal momento che conosco lettori di questo autore che ritengono abbia svelato cose reali, che sia entrato per concessione di Papa Wojtyla in luoghi chiusi ai più e che grazie a lui abbia scoperto ciò che poi ha reso pubblico in tutto il mondo. Segreti che Wojtyla si è sentito tranquillo di svelare a uno scrittore americano. Ovviamente.

Finalmente, arriviamo alla conclusione. Che c'è da dire se non che "i miti letterari non per forza rendono buono il romanzo, ma sicuramente dipingono le necessità e i problemi in cui l'uomo si rispecchia", e per la faccenda del dito puntato la risposta è facilmente deducibile dalle numerose parole e critiche da me espresse.

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